Altruisti veri e falsi.
Per passare il tempo durante la ricreazione in un giorno di pioggia…
1. Il gatto con gli stivali
La sua storia è nota. Riassumiamola. A un giovane, il padre che faceva il mugnaio, lasciò in eredità un gatto. Il giovane non sapeva cosa farsene ed era triste. Ma il gatto gli disse di fidarsi di lui, e di dargli un cappello, un paio di stivali e un sacco e avrebbe fatto di lui un uomo ricco”.
Il gatto, con stivali e cappello, catturò nel bosco della selvaggina e la portò al re, dicendo che era un dono del suo padrone, il marchese di Carabas. E continuò a portare doni al re. Un giorno il gatto udì di una passeggiata del re con la figlia, e allora corse dal suo padrone e gli disse di spogliarsi e buttarsi nel lago. Quando la carrozza del re passò di lì, il gatto iniziò a gridare dicendo che il marchese di Carabas era stato derubato e aveva bisogno d’aiuto. Il re ricordandosi di tutti i doni ricevuti, fece fermare la carrozza per aiutare il “marchese”, nel frattempo il gatto con gli stivali corse nel palazzo di un famoso orco, che si diceva fosse in grado di trasformarsi in qualsiasi animale. Lo convinse a trasformarsi in topo e lo divorò, e così si impossessò delle sue ricchezze che donò al suo padrone che sposò la figlia del re e divenne ricco.
Ma non tutti sono d’accordo … Discutiamone …
2. Lorenzo Perrone
Per Primo Levi, nel campo di sterminio, è fondamentale resistere al programma di disumanizzazione e annientamento. I campi di sterminio sono un’organizzazione, e la disumanizzazione si realizza anche attraverso la cancellazione di ogni senso di appartenenza, e quindi di ogni rituale, di ogni abitudine culturale, di ogni ritmo consueto, anche con lo scarso cibo e la debolezza della fame.
La sua resistenza è resa possibile anche dall’incontro con Lorenzo Perrone. Nel racconto Il ritorno di Lorenzo, che fa parte della raccolta Lilit e altri racconti (1981), Primo Levi ricorda quell’uomo che “non parlava, ma capiva”. Era un muratore, e faceva parte di quei lavoratori che avevano accettato un contratto di lavoro in Germania, dove vivevano un’esperienza singolare, non certo felice ma relativamente libera. E Levi, come prigioniero, era stato assegnato come manodopera al suo servizio, pur non avendo alcuna attitudine fisica al lavoro da manovale. Lorenzo Perrone, anche per questo, l’aveva silenziosamente preso sotto la sua protezione. Due o tre giorni dopo il primo incontro, Perrone portò a Primo Levi una gavetta di zuppa, che volle indietro vuota prima di sera. Continuò tutti i giorni, con un ritmo rituale che permise al prigioniero di avere un appuntamento quotidiano, una piccola prospettiva. E di avere qualcosa da mangiare ogni giorno, per qualche tempo.
3. Fleming e Churchill
Si chiamava Fleming ed era un povero contadino scozzese.
Un giorno, mentre stava lavorando, sentì un grido d’aiuto venire da una palude vicina. Immediatamente lasciò i propri attrezzi e corse alla palude. Lì, bloccato fino alla cintola nella melma nerastra, c’era un ragazzino terrorizzato che urlava e cercava di liberarsi.
Il contadino Fleming salvò il ragazzo da quella che avrebbe potuto essere una morte lenta e orribile.
Il giorno dopo una bella carrozza attraversò i miseri campi dello scozzese; ne scese un gentiluomo elegantemente vestito che si presentò come il padre del ragazzo che Fleming aveva salvato. “Vorrei ripagarvi” gli disse il gentiluomo “avete salvato la vita di mio figlio”.
“Non posso accettare un pagamento per quello che ho fatto” replicò il contadino scozzese rifiutando l’offerta.
In quel momento il figlio del contadino si affacciò alla porta della loro casupola.
“E’ vostro figlio?” chiese il gentiluomo. “Si” rispose il padre orgoglioso.
“Vi propongo un patto: lasciate che provveda a dargli lo stesso livello di educazione che avrà mio figlio. Se il ragazzo somiglia al padre, non c’è dubbio che diventerà un uomo di cui entrambe saremo orgogliosi”.
E così accadde.
Il figlio del contadino Fleming frequentò le migliori scuole dell’epoca, si laureò presso la scuola medica dell’ospedale St, Mary di Londra e diventò celebre nel mondo come sir Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina.
Anni dopo, lo stesso figlio del gentiluomo che era stato salvato dalla palude si ammalò di polmonite. Questa volta fu la penicillina a salvare la sua vita.
Il nome del gentiluomo era lord Randolph Churchill e quello di suo figlio Winston Churchill.
4. Svetlana Broz
Nel 1979, durante l’ultimo anno dei miei studi in medicina, mi preparavo a sostenere un esame di chirurgia all’interno del quale si studiava anche la chirurgia di guerra. Confesso che in quel momento ero profondamente convinta che quella materia, almeno per quanto riguardava il mio paese, non poteva non considerarsi anacronistica.
Ma appena dodici anni dopo, le fanfare di guerra hanno iniziato a strombettare anche in Jugoslavia…
Fin dal primo giorno del conflitto, su tutti i media, oltre che nelle conversazioni private, si è potuto leggere e ascoltare soltanto degli orrori causati dalla guerra in corso. Per tre anni non ho fatto altro che scontrarmi con le parole che determinavano esclusivamente il male.[…]
Rifiutandomi di credere che in quella follia generale non fosse rimasto più niente di umano, sono partita verso i territori coinvolti dal conflitto, inizialmente nella veste di medico, per cercare di essere d’aiuto almeno ad una persona colpita dalla sventura o dalla malattia. E mentre curavo le donne e gli uomini dei tre maggiori gruppi etnici, mi sono accorta del loro bisogno di aprirsi e di raccontare, all’inizio molto timidamente, quello che gli era accaduto in guerra. Quelle brevi confidenze, avvenute fra le mura del reparto ospedaliero di cardiologia, mi hanno fatto comprendere quanto grande era la loro sete di verità, una verità che, proprio lì dove stavano cadendo le granate, aveva molte più sfumature rispetto all’immagine in bianco e nero diffusa a Belgrado e nel resto del mondo.
Scoprire che perfino nel peggiore dei mali la bontà umana esiste, a prescindere dal Dio nel quale si crede, è stato un primo segno di speranza che ha risvegliato in me il bisogno di mettere da parte per un po’ il mio stetoscopio e di impugnare al suo posto un registratore, con il quale andare a raccogliere testimonianze autentiche, raccontate dai membri di tutti e tre i maggiori gruppi etnici. […]
Dott. Svetlana Broz
Belgrado, gennaio del 1999
Svetlana Broz [ S. BROZ (2008; 1999), I giusti nel tempo del male. Testimonianze dal conflitto bosniaco, Erickson, Gardolo di Trento ], cardiologa, nipote del Maresciallo Tito, opera per ricostruire le memorie di altruismi vissuti nelle guerre, più vere e tradizionali di quelle occulte cui abbiamo fatto riferimento, che hanno posto fine alla Jugoslavia. Quindi in un periodo che si direbbe dominato unicamente da odi e uccisioni, c’erano anche coraggio civile e altruismo. Bisognava cercarli, vederli, ascoltarli. Per capire che, al di là dell’individuo della violenza, c’era anche l’individuo della solidarietà.
5. Robin Hood
È un personaggio in parte storico e molto più leggendario, bandito o nobile decaduto, diventato leggendario e generoso giustiziere: toglieva ai ricchi e distribuiva ai poveri. Era abilissimo nell’uso dell’arco. Nella cultura popolare i racconti di Robin Hood e della sua banda sono solitamente associati con l’area della foresta di Sherwood e la contea di Nottinghamshire. La saga di Robin Hood si sviluppa fra i secoli XII e XIII, col regno di re Giovanni d’Inghilterra, che regnò tra il 1199 ed il 1216, un’epoca di continui conflitti finanziati con tasse esorbitanti che condussero alla rivolta dei baroni contro il sovrano che, alla fine, fu costretto alla firma della Magna Charta Libertatum, un documento che limitava parecchio l’assolutismo regio a favore dei nobili (baroni).
6. Abbé Pierre
Henri Antoine Grouès, detto Abbé Pierre (Lione, 5 agosto 1912 – Parigi, 22 gennaio 2007), è stato un presbitero cattolico francese, partigiano, uomo politico e fondatore nel 1949 dei Compagnons d’Emmaüs, un’organizzazione per i poveri ed i rifugiati. Una delle idee che l’Abbé Pierre volle trasmettere all’associazione laica di Emmaus è che anche i più disperati possono rendersi utili per gli altri, che anche i più deboli (poveri e persone senza una casa) possono aiutare quelli ancora più deboli, portando il messaggio di amore per i poveri e per i diseredati, per i dimenticati del mondo. Per questo, l’Abbé Pierre seguì l’indicazione dei suoi amici senza fissa dimora. Raccolsero i rifiuti, e in particolare selezionarono vetro e ferro (una prima organizzazione di raccolta differenziata), rivendendo e realizzando denaro utile per costruire case e accogliere in piccole comunità.
7. La buona signora
Una signora era conosciuta come la buona signora perché tante persone, che avevano chi problemi di lavoro, chi di sfratto, da lei trovavano un aiuto. E l’aiuto non era secondo un calcolo che non tenesse conto delle necessità di chi lo chiedeva. Ma si basava su quelle necessità.
Questa storia finì sui giornali, perché i carabinieri scoprirono che quella signora aveva molte risorse che derivavano dallo sfruttamento della prostituzione. Il processo la condannò, ma ci furono non poche persone che la difesero.
La sua resistenza è resa possibile anche dall’incontro con Lorenzo Perrone. Nel racconto Il ritorno di Lorenzo, che fa parte della raccolta Lilit e altri racconti (1981), Primo Levi ricorda quell’uomo che “non parlava, ma capiva”. Era un muratore, e faceva parte di quei lavoratori che avevano accettato un contratto di lavoro in Germania, dove vivevano un’esperienza singolare, non certo felice ma relativamente libera. E Levi, come prigioniero, era stato assegnato come manodopera al suo servizio, pur non avendo alcuna attitudine fisica al lavoro da manovale. Lorenzo Perrone, anche per questo, l’aveva silenziosamente preso sotto la sua protezione. Due o tre giorni dopo il primo incontro, Perrone portò a Primo Levi una gavetta di zuppa, che volle indietro vuota prima di sera. Continuò tutti i giorni, con un ritmo rituale che permise al prigioniero di avere un appuntamento quotidiano, una piccola prospettiva. E di avere qualcosa da mangiare ogni giorno, per qualche tempo.
La storia è vera, ma l’altruismo è falso. Il denaro dello sfruttamento non si lava con la beneficenza. |
8. Antigone
Antigone è una ribelle in nome della pietà contro la tirannia. Decide di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice contro la volontà del tiranno, il nuovo re di Tebe, Creonte. Scoperta, Antigone viene condannata dal re a vivere il resto dei suoi giorni imprigionata in una grotta. In seguito alle profezie dell’indovino Tiresia e alle suppliche del coro, Creonte decide infine di liberarla, ma troppo tardi, perché Antigone nel frattempo si è suicidata impiccandosi.
Creonte aveva considerato intollerabile l’opposizione di Antigone non solo perché si ribellava a un suo ordine, ma anche perché a farlo è una donna.
Antigone è diventata un simbolo di lotta ai totalitarismi.
Pur essendo un mito, e quindi non un fatto storico, è un simbolo di altruismo vero. |
9. La salvezza dei bambini
Le cronache si sono occupate di un fatto clamoroso. Non sapendo come trattarlo, lo hanno ridotto a profilo basso. Una famiglia, proclamando le migliori intenzioni, aveva “comprato” alcune bambine e alcuni bambini, da famiglie povere di paesi poveri, per dare loro una vita non povera. Lo avevano fatto di nascosto. Clandestinamente. Senza passare da istituzioni giudiziarie e sociali. Fuori dall’itinerario delle leggi e delle regole.
10. Il salvatore del mondo
Era noto perché salvava molti giovani dal giro della droga. Venne fuori che non pagava le tasse, e che faceva lavorare senza mettere in regola. Ma per molti continuò a essere un grande esempio di altruismo.
Andrea Canevaro (Genova, 19 settembre 1939) è un pedagogista ed editore italiano. Professore emerito dell’Università di Bologna e studioso di prestigio internazionale, fin dagli anni settanta del XX secolo è impegnato sul fronte dell’inclusione sociale, con particolare attenzione ed interesse nell’ambito della disabilità e dell’handicap. È ritenuto il padre della pedagogia speciale in Italia, disciplina che lui stesso ha contribuito ad implementare e diffondere nel Paese. Il suo attivismo nei settori sopra segnalati e i grandi contributi dati con le sue ricerche e studi hanno fatto di lui una figura di riferimento riconosciuta a livello internazionale nel campo della pedagogia speciale e della disabilità.
Insieme ad Andrea Canevaro, Kaleidon ha progettato e realizzato prodotti multimediali per Edizioni Erickson.