Ep.3 – Creatività e tecnica
La creatività è certamente una miscela di capacità espressiva e capacità tecnica, e il confine tra queste è un argomento molto interessante.
La Grafica commedia – Episodio 3
Prima di terminare questa prima parte del libro fatta di memorie vere, quelle inserite in quel meraviglioso processore che assomiglia ad un cavolfiore racchiuso nella nostra scatola cranica, desidero approfondire un altro aspetto che, detto da uno appassionato di tecnologia come me, potrebbe apparire contraddittorio.
Albe Steiner sosteneva che alla creatività non servono molti strumenti per esprimersi. Anzi, proprio in una condizione di minor disponibilità di mezzi possono venir fuori risultati migliori. Possiamo dargli torto? Assolutamente no. Alla quantità di strumenti non corrisponde certamente maggior creatività, proprio come alla quantità di oggetti non corrisponde la felicità: e per fortuna! In effetti quante volte mi son trovato di fronte al mio monitor a scrutarlo come fosse lo specchio di Biancaneve alla ricerca di una idea che solo dalla testa, mia o dei miei collaboratori, poteva uscir fuori.
E se per Biancaneve quello specchio non era più un semplice strumento per truccarsi, ma di “riflessione” e “ragionamento”, quanti rischi corre un grafico come me di stringere il proprio campo visivo al monitor che ha di fronte? Ma è poi così importante avere tutta questa conoscenza tecnica? Soprattutto oggi, con strumenti informatici (visivi) nelle nostre tasche, il confine tra saper vedere, saper pensare, saper fare si è in realtà trasformato in un solco profondo? Come dovrebbe rispondere una scuola di alto livello come l’ISIA a tutte queste sollecitazioni?
Domande che mi hanno coinvolto in maniera molto forte perché, nei dodici anni di insegnamento, mi sono spesso sentito chiamato in causa come docente, con una disciplina attraverso la quale desideravo aiutare gli studenti ad avere massima padronanza di uno strumento.
Già nel 1998 nel mio libro scritto per gli studenti, Vuota il cestino avevo inserito questo appunto:
Chiunque volesse divertirsi a suonare uno strumento musicale deve necessariamente passare per la strada del solfeggio e ripetere scale su scale. Così è per il computer. Benché la mela colorata ci abbia aiutato a rendere più simpatico un mondo fatto sostanzialmente di numeri, anche per utilizzare un Macintosh è necessario avere almeno una conoscenza di base di come è strutturato e funziona.
Non bisogna essere laureati in informatica, perché sarebbe come dire che per essere un buon violinista si deve essere anche un buon liutaio. Ma conoscere lo strumento, con che materiale è fatto, che regole stanno dietro il suo funzionamento, questo sì.
So che Steve Jobs si arrabbierebbe molto di fronte a questa affermazione, perché la sua filosofia ideativa, sia che fosse un Mac, o un iPhone, era quella di far sentire trasparente la tecnologia, ma a mio parere è difficile negare che anche il mondo Apple, massima espressione del concetto di usabilty, non sia immune da difficoltà tecniche.
Come dicevo, si tratta di un argomento sul quale mi sono trovato a ragionare in diverse circostanze, soprattutto quando ho sentito messo in discussione il mio ruolo di insegnante. Ho vissuto momenti di disagio nei confronti di docenti che mal sopportavano la prepotente e veloce invasione di campo delle tecnologie, come se queste togliessero spazio alla progettualità, alla fantasia, alle idee.
In una scuola in cui si insegna a pensare e progettare, cosa ci sta a fare una materia così tecnica? È proprio necessario un insegnante che ti dice che con il mouse non si fa “brum brum” come fosse una macchinina, ma lo si muove per ottenere determinati risultati? Non potrebbero bastare dei buoni manuali? Confesso che alla fine del 2009 ho deciso di lasciare l’ISIA con grande dispiacere perché tra i tanti cambiamenti in atto percepivo prospettive non in sintonia con questo mio pensiero.
Non sono mai certo delle mie idee, ammetterlo potrebbe essere una buona base per essere tolleranti. Purtroppo in alcuni casi può diventare insicurezza o far sì che le risposte siano determinate da comportamenti istintivi, nel mio caso addirittura conseguenti ad un certo grado di permalosità. Era il 2001 quando scrissi ai colleghi questa email un po’ stizzita in cui emergono alcuni di questi ragionamenti.
Da: Valter Toni Oggetto: Re: Collegio Docenti Data: 22 maggio 2001 11:05:09
Il consiglio dei docenti a me produce un effetto anestetizzante verso qualsiasi forma di comunicazione verbale. Sicuramente è anche colpa mia. Ma chi come me non ha spiccate capacità oratorie si sente a disagio quando vive la sensazione che gli interlocutori ascoltino solo se stessi, per rimanere aggrappati alle proprie sicurezze, alla propria realtà spesso virtuale (pur senza computer).
A questo aggiungo un altro disagio: possibile che ogni occasione d’incontro, ad ogni discussione di tesi ne devo uscire con i sensi di colpa perché io mi diverto a lavorare col computer? Possibile che tutte le volte che si parla di web, di digitale mi sembra di essere circondato da monaci amanuensi che stanno discutendo se per colpa di Gutenberg prima o poi chiuderanno tutti i monasteri? Questo mondo può non piacere, ma sta cambiando. Dopo il carattere mobile, la fotografia, oggi la rivoluzione è l’elettronica. Non piace? Pazienza. A me l’anno scorso la Mondadori ha chiesto consulenze su “digital corpored identity”, normative per come coordinare l’immagine digitale. Lineagrafica continua a sfornare numeri monografici su web, interfaccia, digitale ecc. Allora cosa è la grafica oggi? A volte mi sembra che ci sia un aggrappamento a considerazioni per far diventare l’ISIA una sorta di agriturismo della grafica dove possono essere riscoperti i sapori antichi della tipografia. Se questo è il piano chiaro, definito, voluto, io potrei essere uno dei primi ad essere interessato, ma non mi pare che rispecchi l’effettive esigenze della comunicazione visiva di oggi. Mi chiedo: quale scuola si prepara a rispondere a Kataweb a l’Espresso ecc. ecc.? Firenze? Faenza? Roma? Europeo Design? Se è vero che non esistono in Italia scuole di fotografia, di pubblicità, questo è ancor più vero per il digitale. Basta vedere i risultati che ci circondano. Mi son fatto prendere la mano e corro il rischio di essere frainteso, forse deriso, anche perché io non ho le idee chiare. Io sono sicuro di essere affezionato alla carta, al profumo dell’offset più di altri che osteggiano il computer. Però la mia provoc-azione viene da una MIA sensazione, che forse nascerà da motivi personali, forse da una mancata empatia con le persone che compongono il corpo docente, ma comunque io la vivo. Le emozioni non sono ne giuste ne sbagliate, si hanno e basta. Sono dei segnali che vanno interpretati. Io le ho volute condividere per crescere con l’ISIA che amo, con voi e con gli studenti che sono il frutto della scuola.
Con affetto
Come sempre Massimo Dolcini non si fece attendere e questa fu la sua risposta.
Da: Fuorischema Data: Thu, 24 May 2001 16:26:59 +0200 A: Valter Toni Oggetto: da massimo dolcini
A contributo scritto, risposta scritta…
Caro Toni, mi hai obbligato a scriverti, anche se mi piacerebbe tanto che certe cose ce le dicessimo anche a voce, perché mi piacerebbe risponderti anche con gli occhi e interagire colloquiando. Anche questo è un piacere.
Ma se confermi che “scripta manent”, ti seguo anch’io.
Credo di aver capito cosa mi hai scritto e sento di essere, in un certo senso, d’accordo con te. Ma credo che anche tu sia per il “primato del progetto”. Se così non fosse dovremmo insegnare in una scuola professionale. Ricordati le parole di Michele: un buon grafico è colui che progetta con le idee e si serve della matita o della tecnologia per palesarle, ma sono le idee che contano. Steiner e Provinciali hanno sempre privilegiato il grafico intellettuale al grafico tecnico. Questo non vuole dire che un buon grafico non debba conoscere la tecnica, anzi proprio il contrario, ma è la sua capacità di superarla che lo rende interessante.
Nanni Valentini e Franco Bucci, che credo siano i due più importanti ceramisti italiani degli ultimi anni, non sanno tornire. Ma sanno guidare un torniante con la loro voce e con il disegno.
La nostra scuola deve preparare dei progettisti. Oggi il progettista grafico si trova spesso al centro, come perno, del mondo della comunicazione. Gli si chiede non solo di progettare ma anche di guidare la progettazione di tutti coloro che coinvolgerà nel suo lavoro. Per sua natura non potrà essere mai uno specialista. Se lo fosse dovrebbe scendere in profondità in una sola materia e si posizionerebbe subalterno al direttore dei lavori.
Io credo che il momento dell’apprendimento tecnico sia importante, fondamentale nei primi anni della formazione, quindi a scuola, ma di seguito è lo spessore umano che segnala l’autore. Quindi: ben venga la tecnica, ma anche l’umanità, che è una miscela di conoscenza, coscienza ed esperienza. Per la tecnica serve la scuola, per l’umanità serve la vita. Tutti, prima o poi, dobbiamo attraversare il deserto. E dipenderà da come ne usciremo vivi per farci capire chi siamo e cosa vogliamo.
Sarei contento, comunque, se mi scrivessi ancora, ogni volta che senti il desiderio di farlo, mi piacerebbe approfondire l’argomento, dato che a scuola non ci vediamo mai, magari coinvolgendo anche Franz.
Buon lavoro. Massimo
Regalo meraviglioso di Massimo, che alimentò ulteriormente il desiderio di capire come stava evolvendo un mestiere.
Non a caso nel 2003, insieme ad Andrea Steinfl, l’amico del cuore conosciuto alla Rivista Militare nel 1987 e che da 25 anni mi stimola a guardare sempre oltre la punta del naso, un altro di quelli che come Provinciali, Dolcini, Battistini, ha la capacità di stupirsi e di entusiasmarsi anche difronte alle piccole cose, organizzammo un meraviglioso workshop all’ISIA di Urbino dal titolo: Blackout Circus.
Una settimana intera di riflessioni, progetti e creatività in assenza di corrente elettrica. Potete immaginarvi lo sbigottimento degli studenti il primo giorno, tenuti all’oscuro dello svolgimento. Non potete invece avere la minima idea degli entusiastici risultati, sotto vari punti di vista, a cominciare da quello umano. Ma non dubitavo certamente di questo, perché ciò era accaduto anche nei precedenti workshop di Andrea, quello del 1997 sulla multimedialità “grafica in assenza di peso” di cui trovate un resoconto nella email qui sotto, e quello del 2001, sulla disubbidienza “requisito essenziale per addentrarsi nei nuovi spazi di comunicazione e interazione globale”.
Da: Andrea Steinfl Oggetto: Resoconto Workshop Data: maggio 1997
Seminario operativo COMUNICARE IN ASSENZA DI PESO Acrobazie della comunicazione visiva con e senza rete.
Urbino, 5.6.7.8 maggio 1997.
Art director: Andrea Steinfl, grafico Coordinatore: Francesco Ramberti grafico e docente ISIA Urbino Esperti: Valter Toni, grafico e docente ISIA Urbino Morgan Russel, (U.S.A.) giornalista e media expert Arnauld Boulard, (Parigi) programmatore Tiziana Panizza, sceneggiatrice autrice di ipertesti Enrico Signoretti, amministratore di sistemi
Il concetto, che prende spunto dai workshop sulla connected intelligence di Derrick de Kerkhove a cui ho preso parte a Lisbona, si è sviluppato all’ISIA su diversi progetti intorno ad unico tema - quello della scuola. Questo tema se da una parte ha chiamato profondamente in causa tutti gli studenti su un soggetto con cui si confrontano quotidianamente, dall’altra ha fatto affiorare alcuni dei limiti che gli stessi studenti hanno nei confronti dell’istituzione scolastica.
Gruppo A OTTOVOLANTE MORBIDO Il punto di partenza per il gruppo A era quello del WORKSHOP IN PROGRESS, vale a dire della creazione di un luogo di sperimentazione continua. Il gruppo ha creato una applicazione interattiva che si pone come obiettivo la stimolazione creativa e la creazione di idee. Un vero e proprio software che lavora per associazioni più o meno libere costruendo una sceneggiatura casuale, montando insieme frammenti multimediali, immagini, suoni, testi che vengono inseriti all’interno del motore dagli stessi studenti. Ci troviamo di fronte ad una applicazione che è insieme memoria dell’ISIA, navigazione istintiva, ricerca di linguaggio, sampling e hip-hop, insomma un quasi-psichedelico frammento di creatività figlia del nostro tempo in cui tutto è materiale disponibile per creare il nuovo.
Gruppo B IL CANDIDATO IDEALE Il gruppo B aveva come briefing la creazione di un supporto multimediale leggero, su dischetto, che avesse come obiettivo la comunicazione dell’Isia all’esterno. Un supporto da regalare a tutte le persone che in una maniera o nell’altra venissero in contatto con l’Isia. Il gruppo B ha affrontato e risolto il tema con grandissima eleganza e creatività, recuperando un vecchio documento di presentazione della scuola in cui si descriveva, con burocratica pignoleria, la figura del candidato ideale della scuola di Urbino. Questo documento, involontariamente ridicolo, ha fornito la base per la sceneggiatura di una applicazione multimediale di “scherzi e variazioni tipografiche”. Prodotti interamente nella durata del workshop, suoni, animazioni, immagini ed addirittura una esibizione corale del gruppo orchestrato da Valter Toni, si alternano nell’applicazione multimediale costruendo un oggetto dall’interfaccia trasparente e di grandissima comunicatività. Un esempio di vera avanguardia che è difficile, se non impossibile, trovare in scuole che alla comunicazione della loro creatività destinano budget non indifferenti.
Gruppo C L’INSTALLAZIONE MULTIMEDIALE Creare un luogo che parli dell’ISIA fuori dall’ISIA, utilizzando le tecnologie multimediali. Ah quanto ha sofferto il gruppo C, capitanato dal buon Arnauld Boulard, mago della programmazione, allievo di Boulez all’IRCAM e responsabile della realizzazione del cdrom del Luovre! Hanno sbattuto la testa contro il concetto base fino a poche ore dalla fine per poi esplodere in un interessantissimo esempio di comunicazione moderna: l’Isia in telepresenza. Una serie di schermi trasportano al di fuori delle mura del convento la vita, i volti, i lavori degli studenti dell’ISIA - finestre su un mondo in cui l’espressione personale è tutto ed in fondo un palcoscenico in più, agli studenti per esibirsi...
Gruppo D Il sito Internet Creare un luogo sulla “rete delle reti” che parli dell’Isia non è un’impresa facile. Bilanciare l’energia anarchica degli studenti con l’istituzione, evitare la massificazione, esaltare l’individualità, dar vita ad un liquido luogo che ogni giorno cambia e riuscire a comunicare il luogo del convento così immutabile nei secoli - insomma un briefing difficile da scardinare e che ha messo a dura prova le sinapsi connesse del gruppo D e di Morgan Russell cantastorie del ciberspazio e che alla fine ha regalato un risultato sicuramente interessante in alcune sue intuizioni ma che avrebbe avuto bisogno di maggiore tempo per trovare il respiro giusto. Il GruppoD ha affidato al bar della scuola e al suo indiscusso bardo/proprietario il compito di guidare l’ospite via modem alla scoperta della scuola, dei suoi vizi e delle sue virtù.
Gruppo E DIRE FARE BACIARE Il Gruppo E si è confrontato con la necessità di creare un cd-rom, che a scadenza annuale avrebbe comunicato a chiunque si confronti con la comunicazione visiva dal punto di vista professionale, la capacità immaginativa degli studenti di Urbino. Quindi una operazione di immagine e di promozione personale. Anche qui il gruppo è riuscito ad appropriarsi profondamente di un nuovo linguaggio proponendo una sceneggiatura molto interessante e “porte d’ingresso” alle diverse sezioni tutt’altro che banali o scontate. Il cursore del Tempo con cui è possibile accelerare o rallentare l’applicazione, metafora dello stress pre-esami o dei periodi di rilassamento è solo una delle originali invenzioni scaturite dal cilindro pensante del gruppoE. Gruppo F Intranet Dar vita ad una rete interna all’ISIA è stato un banco di prova di grande difficoltà per il gruppo E, che si è confrontato soprattutto con l’immane lavoro di architettura delle informazioni, realizzando, aldilà del prototipo e dell’interfaccia, una dettagliata analisi delle necessità e delle funzionalità richieste da una intranet scolastica. Il gruppo F, forse un po’ più frustrato degli altri per la mancanza alla fine di una applicazione “spumeggiante” che dimostrasse il sudore di tre giorni di lavoro, è quello che però più degli altri ha toccato con mano la necessità per i designer multimediali di essere prima di tutto architetti informatici, grandi organizzatori di gerarchie di informazioni e che questo lavoro è alla base di qualunque processo di creazione di applicativi interattivi.
Vorrei anche ricordare: le sere tardi all’Isia, una prima mondiale / la cena e i pasti insieme a studenti e docenti / il correre dei rappresentanti dei diversi gruppi su e giù per le scale e i momenti di concitazione che hanno riempito i giorni del workshop / il fatto che si parlavano in una maniera o nell’altra tanti diversi inglesi ed italiani / e soprattutto che questo workshop ha dimostrato, se ancora ce n’era bisogno che sono finiti i tempi del professore sulla cattedra e degli studenti che eseguono compitini, i tempi dei docenti che riciclano ogni anno vecchie storie e che non sono in grado di esporsi in prima persona alla partecipazione di un progetto: con questo workshop che potrebbe esistere tutto l’anno, abbiamo dimostrato che la ricchezza di scambio di esperienze che si ha in situazioni come queste in cui tutti si mettono in discussione, è anni luce superiore a qualsiasi altra esperienza “educativa”. Se a “scendere in piazza” sono i docenti, se anche loro affrontano in classe il problema di “non avere una soluzione in questo preciso istante” quando una soluzione “è la sola cosa che serve in questo preciso istante”, se la collaborazione ha veramente un senso pratico, allora le cose cambiano e si impara più velocemente, tutti quanti. Una libera dispersione di energia, questo è stato il workshop, e sono contento di averlo fatto, tutti nessuno escluso hanno dato quello che avevano di più profondo, di più vero, di più prezioso.
Per quanto fosse divertente non è mai stato facile addentrarsi in questo tipo di avventure: a volte ci si rendeva conto di essere come bambini che “gattonavano” alla ricerca di nuove piste, nuovi linguaggi del comunicare che ancora erano privi di grammatica.
Fate i bravi, non state troppo davanti al computer 🙂
Col rischio di banalizzare il problema, permettetemi di fare alcune considerazioni semplici, che possono mettere in guardia i giovani progettisti grafici da pericoli che nascono dallo stare tanto tempo di fronte al monitor.
Quando all’inizio della nostra attività decidemmo, tra i primi studi, di acquistare un potente Mac, con una delle prime stampanti laser in commercio, la prassi del nostro lavoro prevedeva frasi del tipo: “vado al computer”. Un po’ come qualsiasi altro strumento lo si riteneva utile per certe determinate funzioni, soprattutto tipografiche. Oggi invece si passa la maggior parte del tempo, spesso l’intera giornata, davanti al computer e perciò uno dei pericoli più frequenti è sicuramente quello dell’isolarsi in maniera eccessiva dal contesto lavorativo, ma anche, visto dal punto progettuale, dell’astrarsi a tal punto che tutto inizia e tutto finisce dentro quel monitor.
È sempre più facile oggi iniziare a progettare direttamente al computer. Questo non mi scandalizza: come in qualsiasi professione le prassi in vent’anni sono profondamente e inevitabilmente cambiate. Le idee ognuno se le fa venire come meglio crede, ma è bene però porre molta attenzione al processo e non rimanere ingannati, intrappolati, rischiando di ottenere, anche per banali motivi tecnici, dei risultati sbagliati e deludenti. Concentrati sempre sul rettangolo del nostro desktop si può rischiare di non immaginare in maniera corretta il prodotto finito per quello che sarà. Le sorprese a cui andremo incontro potranno essere davvero spiacevoli: può succedere con un manifesto, con un libro, ma anche con una presentazione che verrà videoproiettata in un salone poco oscurato. Quante volte ciò che appare sul nostro monitor, super calibrato, iper definito, ultra costoso, rischia di essere depresso da una carta altrettanto costosa, ma che assorbe molto l’inchiostro, oppure da un proiettore con una lampada poco luminosa in una sala che non si riesce ad oscurare adeguatamente. Ho diversi esempi di pericoli sventati in extremis, che riprenderò nel capitolo dedicato alla fase produttiva.
Se quindi può essere per qualcuno la scelta giusta iniziare con un bel bozzetto di carta, non va mai dimenticato che in molti casi il lavoro finirà comunque sulla carta, ad esempio di un poster per catturare l’attenzione di un distratto automobilista fermo ad un semaforo. È sempre corretto contestualizzare il prodotto nel suo ambiente e non accontentarsi neppure di un ok dato dal cliente dopo aver visto un PDF: può accadere che in seguito cambi giudizio per la difficile lettura di quel manifesto affisso accanto a tanti altri.
Altri pericoli, tipici degli smanettoni come me, sono: quello di provare una sorta di godimento sul processo, di come tecnicamente abbiamo raggiunto un certo risultato, dimenticandoci che questo sarà del tutto trasparente al destinatario della comunicazione; oppure essere talmente rigidi sulle prassi di sviluppo, quelle corrette suggerite dal manuale, da essere più attenti ad avere file puliti e leggeri, rispetto alla qualità del risultato finale stampato. A volte sono proprio alcune trasgressioni, che come professore avrei potuto chiamare “errori”, che invece danno spessore alla comunicazione.
Il fine del nostro lavoro, non è realizzare file perfetti, ma comunicare!